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Algoritmo: il movimento misurato del dolore

Ne abbiamo sentito parlare un po’ tutti dell’algoritmo.
Anche se non sei un nativo digitale, in qualche modo e per qualche motivo, questo termine è entrato a far parte del linguaggio comune.

Oggi ne parliamo sul blog. Un po’ perché è stata la prima domanda durante un’esame universitario di informatica, e pareva che senza conoscere cosa fosse, fossimo bocciati.
Un po’ perché traccia le basi dell’universo del digitale, e noi ci siamo dentro in pieno.
Che si chiuda un cerchio?

Ma prima una precisazione, che è poi anche il motivo per cui ne raccontiamo qui:
quello che ci piace fare, ogni tanto, è mettere in discussione gli ambiti che fanno parte del nostro quotidiano, cercando di analizzarli con un occhio critico, ma più che altro curioso.
Per capire quale mira prendere per poi lasciare andare la freccia.
Alcune scomposizioni le facciamo perché sentiamo e vediamo – e i nostri clienti ce lo mostrano più che spesso – che alcune questioni digitali sono diventate troppo. Quasi come se senza non siamo niente o non ne siamo più capaci. Parliamo sempre dell’internet e queste cose qui.

L’importanza di dare il nome alle cose

Dare un nome alle cose e alla realtà che ci circonda, è importante per vari motivi.
Gli Indiani d’America per esempio, ad un certo punto della loro vita si danno un nome in base alle inclinazioni e ai talenti della persona.
Anche dare un nome a quello che provi è importante, per dargli una forma e riconoscerlo nel contesto della realtà. Ha più a che fare con l’avere cura che con l’urgenza classificatoria.
Il nome è un’informazione precisa. Senza nome non siamo riconoscibili. Linneo aveva capito l’importanza di classificare le specie per nomi affinché la botanica diventasse di nostra conoscenza e poi uso. I latini invece dicevano “nomen omen”, ossia nel significato del tuo nome c’è il tuo destino.
E via cosi…

Quindi partiamo da qui, dal suo nome.

Algoritmo è un nome composto: algo-ritmo.
ALGO:
dal greco álgos ‘dolore’, primo elemento di composti della terminologia scientifica, col sign. di ‘dolore, doloroso’ o ‘attinenza al dolore’.
RITMO:
dal greco rythmòs, movimento misurato, a cadenza.

Quindi algoritmo parebbe significare: “movimento misurato del dolore”.

Anche se la versione ufficiale attualmente in gioco è che il termine algoritmo derivi dall’appellativo Al-Khuwārizmī («originario della Corasmia») dato al matematico Muhammad Ibn Mūsa vissuto nel 9° secolo.

A cosa serve l’algoritmo?

Negli ultimi anni, l’algoritmo è diventato un elemento fondamentale del funzionamento dei canali digitali come Google e i social media. L’algoritmo è un insieme di istruzioni che i software utilizzano per elaborare e fornire risultati pertinenti e personalizzati in base alle ricerche degli utenti.
Il funzionamento dell’algoritmo si basa sull’analisi dei dati degli utenti.
Ad esempio, su Google, l’algoritmo analizza le parole chiave inserite dagli utenti per trovare i siti web più pertinenti e rilevanti. Su Facebook, l’algoritmo analizza le attività degli utenti, come i post, i like e i commenti, per presentare loro contenuti simili.
Per farla breve, l’algoritmo apprende dai dati degli utenti e utilizza queste informazioni per personalizzare l’esperienza digitale.

Ma ci sono dei ma, e in questo caso personalizzare fa rima baciata con pilotare.
Il funzionamento dell’algoritmo ha suscitato alcune preoccupazioni riguardo alla trasparenza e alla manipolazione.
Quello di Facebook è stato criticato per aver creato una “bolla” che mostra agli utenti solo contenuti simili a quelli che hanno già visto, impedendo loro di esplorare opinioni diverse. Praticamente; se pensi qualcosa, o ti piace qualcos’altro, potrebbe essere Facebook che ha instillato in te quel pensiero o quel desiderio.

L’algoritmo come scatola nera

Il confine che separa lo strumento dal suo utilizzatore è oggi incerto e poco segnato. Quello che desideriamo fare oggi, e lavoriamo affinché ciò accada, è che la tecnologia torni a essere uno strumento e non una protesi esterna delle nostre abilità.
Lo strumento non dovrebbe guidare le nostre azioni.

La tecnologia e gli strumenti digitali che abbiamo a disposizione oggi sono paragonabili ad un modello black box “un sistema che, similmente ad una scatola nera, è descrivibile essenzialmente nel suo comportamento esterno, ma il cui funzionamento interno è non visibile o ignoto”.

E, in ultima istanza, basti pensare che gli algoritmi sono privati, e sono creati per essere utilizzati a fini commerciali.

Il movimento smisurato della gioia

Non vogliamo affidare le nostre parole, le nostre azioni, il nostro lavoro ad una scatola nera.
Fare scelte editoriali per assecondare l’algoritmo significherebbe dare predominanza allo strumento sulle azioni.

Preferiamo affidarci e affidare i nostri clienti, le persone con cui lavoriamo, e noi stessi, ad una procedura più naturale, ad un movimento che conosciamo e riconosciamo.
Insomma, a dinamiche più umane, più intellegibili, coltivate negli anni con passione, lungimiranza, creatività, fiducia.
Che assecondano un ritmo scandito dalla qualità, dall’autenticità, dalla presenza, dalla relazione.
Non sarà il ritmo del dolore a scandire le nostre azioni.
Ma sarà come trovarsi senza darsi appuntamento, nella piazza del paese, a 13 anni.
Sarà per passaparola, sarà per gioco.
Sarà per la gioia di stare insieme.
Perché per qualche ragione ci siamo incontrati, e ci siamo scelti.

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